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 Progetto Culturale - Punto di vista - Medio Oriente ancora in fiamme 

n° 141 - 19 giugno 2014

Medio Oriente ancora in fiamme

 

 

Per capire la questione    

 C’è una torva modernità, una sorta di accecante futurismo in salsa mesopotamica nella riproposizione – a millequattrocento anni di distanza dallo scisma fra sciiti e sunniti – di questo ineffabile Califfato di Ninive, a opera dei jihadisti che militano nell’Isis, lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante, che dopo aver conquistato Mosul, Tikrit, Fallujah muovono ora su Baghdad al grido di Baqiya wa tatamaddad, ovvero, «Restare ed espandersi». Di fronte, per ora, hanno un pugno di pasdaran iraniani e alle spalle un esercito iracheno in rotta, male organizzato e drammaticamente impreparato a un confronto sul campo con una milizia forgiata da un fanatismo inesorabile e dall’assenza pressoché assoluta della paura di morire.
Chi ancora s’illudeva che le guerre di Bush padre e figlio avessero risistemato per i decenni a venire la carta geografica del Grande Medio Oriente si è trovato da tempo a doversi ricredere: i ribollenti calderoni libici, egiziani e nigeriani, il fiume di sotterranea sedizione che unisce il Mali al Corno d’Africa, il Sinai allo Yemen, il Sudan alla Somalia, il frantumarsi dell’unità territoriale in Siria e in Iraq in un caotico Big Bang all’insegna del jihadismo arrembante erano e sono spie del un profondo mutamento – non solo politico, ma culturale, quasi genetico che scuote la Mezzaluna Fertile come scuote il Maghreb, l’Africa subsahariana e la penisola arabica. Sullo sfondo c’è lo scontro mortale e millenario fra sciiti e sunniti, fra Teheran e Damasco con i loro alleati Hezbollah in Libano da una parte, e dall’altra il vasto e maggioritario arcipelago sunnita egemonizzato dall’ortodossia wahhabita di Riad. Ma la disputa religiosa non esaurisce tutte le risposte.
E se qualcuno nutre ancora dei dubbi sul fatto che su questo scacchiere si giochino partite ben più prosaiche (e remunerative) delle dispute religiose, si ricordi che il caos in Medio Oriente ha sempre l’effetto immediato di alzare i prezzi del greggio, negli ultimi giorni schizzato ai massimi valori da nove mesi a questa parte. Come dire, oro nelle tasche degli emiri e dei grandi satrapi del Golfo, ma anche – va detto – per i signori dei pozzi iracheni di Kirkuk. Le responsabilità del disastro umanitario che si profila in Iraq e del rischio concreto di un nuovo conflitto su vasta scala sarebbero lunghe da elencare. Si va dall’inettitudine del governo Maliki (che ha compiuto gli stessi errori di Mohammed Morsi in Egitto emarginando gli sconfitti invece di cercare una pacificazione civile) alla macroscopica impreparazione dell’esercito regolare di Baghdad, addestrato a risolvere problemi di ordine pubblico e assolutamente inadeguato a una guerra sul campo. Né va sottovalutato quel gesto solo apparentemente anacronistico dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante, che proclama la nascita di un califfato. Una suggestione che sicuramente modellerà altre suggestioni, altre insurrezioni, altri califfati. È soltanto questione di tempo.

Qui il testo integrale: http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/Pasdaran-e-droni.aspx

Giorgio Ferrari
 

 

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